INTRODUZIONE
L'11 ottobre sull'alba,
un leggero acquazzone, aveva lavato Roma. Il sole era caldo e trasparente, e
quando la folla cominciò a riempire la piazza le figure sembravano uscire
da un'antica stampa romana ma ricche di una vita nuova. La folla andò
crescendo rapidamente, fino a stipare anche le vie adiacenti. Alle 8,30 ebbe
inizio la grande giornata di Papa Giovanni e della Chiesa moderna.
Davanti
alla gradinata della basilica erano schierati i reparti delle forze vaticane, in
divisa di gala: elmi, corazze, decorazioni, alabarde, pennacchi: non mancava
certamente il colore locale, grande attrattiva per i turisti più
superficiali. Accanto alle forze vaticane, reparti dell'esercito e dei
carabinieri italiani. La basilica ribolliva di luci e di canti. Il nuovo organo,
inaugurato quindici giorni prima, faceva sentire le sue note
festose.
Eppure, al di là di tutto questo colore, oltre tanta
cornice tradizionale, tutti intuivano che stava cominciando un fatto nuovo, che
da tempo non si era più verificato nella Chiesa: e tutto quello
splendore, accettato ancora con la naturalezza di sempre, sarebbe stato, di
fatto, congedato per sempre da quanto stava per aver inizio quella
mattina.
Scendendo dalla Scala Regia verso il Portone di Bronzo, piegando
verso il centro della grande piazza il corteo dei vescovi e dei cardinali, tutti
vestiti in mitra e piviale candido, sembrava un argenteo torrente. Qua e
là, le macchie scarlatte, nere o violacee dei rappresentanti dei vari
riti, tutta l'universalità geografica e storica della Chiesa, era
rappresentata con un'«unità nella diversità» che non era
più un'astrazione. Il corteo raggiunse il chilometro di lunghezza: i
«padri conciliari» erano quasi tremila. Mai la Chiesa era stata tanto
riunita, anche fisicamente, nei suoi pastori, attorno all'altare di Pietro. Al
Vaticano I i vescovi intervenuti avevano superato di poco il numero di
settecento.
Ultimo veniva Papa Giovanni, umile in tutta quella gloria.
Sotto il fuoco incrociato delle macchine da presa, delle telecamere, dei
binocoli di migliaia e migliaia di fedeli, il suo volto rivelava una compostezza
serena e raccolta che s'andava accendendo, ogni istante, nel rispondere agli
applausi della folla, di un grande sorriso, come sempre. Eppure, teneva
più che poteva gli occhi bassi: era al centro dell'attenzione del mondo,
e tuttavia era solo con Dio. Giunto sulla soglia della basilica, scese per fare
il tratto della grande navata a piedi, vescovo tra i suoi fratelli
vescovi.
Di lì assistette alla messa solenne, cantata dal card.
Tisserant. Egli l'aveva celebrata prestissimo, nella cappella privata. Ora era
spettatore e garante di tutto quanto accadeva, e, nello stesso tempo, era con
gli altri, come gli altri, in ginocchio davanti all'unico, vero autore del
Concilio, lo Spirito Santo.
Quando la messa ebbe termine, egli
s'inginocchiò davanti all'altare, poggiando le mani sul faldistorio, e
invocando per primo la luce dello Spirito Santo. «Ecco qui, Signore Spirito
Santo,... vieni con noi,... rimani con noi. Purifica i nostri cuori. Ispira i
nostri atti e la nostra condotta: indicaci ciò che dobbiamo fare. Sii Tu
la sola guida al nostro giudizio. Non tollerare che noi manchiamo di giustizia,
Tu che ami la giustizia perfetta. Che l'ignoranza non sia causa di errore, che
le amicizie umane non ci pieghino, che l'interesse o il favoritismo non ci
corrompano. Unisci a Te di modo che per tua grazia possiamo essere in Te una
cosa sola e non allontanarci mai dalla verità».
I 2720
«padri conciliari» hanno risposto: Amen! Si sono tolti dal capo le
mitre candide, ed è stato come se un volo di bianchi gabbiani avesse
invaso di colpo la basilica. Il presidente Segni, nella tribuna riservata ai
capi di Stato e al Corpo Diplomatico, non ha saputo trattenere le lacrime. Nella
tribuna degli ospiti e degli «osservatori» delle Chiese non
cattoliche, i due candidi monaci protestanti di Taizé, fratel Schutz e
fratel Tuhrian, non hanno alzato gli occhi dalla preghiera. È stato appunto
nella preghiera di tutti che s'è fatto realtà il grande augurio
della ripresa del cammino verso l'unità di tutti i credenti in
Cristo.
Le banconate scarlatte s'erano riempite lentamente, via via che i
vescovi entravano nella basilica.
IL VANGELO IN TRONO
Mons. Pericle Felici, Segretario del Concilio, si
alza, scende nel piano della navata, si dirige verso il semplice altare
sistemato nel centro, di fronte al grande altare della Confessione, e vi porta,
processionalmente, un prezioso codice del Vangelo, risalente al quindicesimo
secolo. Sei candele vengono subito accese dai diaconi ai due lati del Vangelo
aperto. Per tutto il tempo del Concilio, ogni mattina, dopo la celebrazione
della messa, questo sarà il primo rito conciliare: l'omaggio al Vangelo.
Dal Papa all'ultimo vescovo, dai periti ai teologi più famosi, nessuno
dovrà dimenticare che solo quel libro è la prima e l'ultima
garanzia della verità in cui la Chiesa cerca di specchiarsi più
fedelmente per poterla a sua volta presentare al mondo. I problemi più
urgenti della nostra època non avranno senso, per i successori degli
Apostoli, se non sulla misura di questa «parola che non
passa».
Papa Giovanni, coi paramenti pontificali, è ora non
solo il vescovo di Roma, ma il vescovo dell'intera Chiesa, il Vicario di Cristo,
il Successore di Pietro: il Concilio ha valore perché lui lo ha indetto,
avrà legittimità solo quando lui ne firmerà gli atti e le
decisioni. Il Papa s'inginocchia, e a capo scoperto pronunzia a voce ferma e
distinta la sua «professione di fede». Anch'egli è uomo,
anch'egli può sbagliare, e solo se in cattedra, a proposito di questioni
fondamentali circa la fede e i costumi, è personalmente infallibile.
Questa infallibilità è stata definita dall'ultimo grande Concilio
della Chiesa, il Vaticano I, che l'ha proclamata dogma di fede.
Per il
resto egli è uomo fra gli uomini, con la sua cultura, la sua
intelligenza, i suoi punti di vista, che possono avere il valore della cultura,
dell'intelligenza, dei punti di vista di tutti gli altri vescovi e nulla di
più. Egli sta cercando con loro, con il loro aiuto, la visione più
chiara delle responsabilità della Chiesa, le ricchezze profonde e
inesplorate che essa è in grado di offrire al mondo per aiutarlo a
salvarsi.
Tutto il mondo, in questo momento, sta guardando a lui. Egli ha
detto, in uno dei discorsi di preparazione al Concilio «Presenteremo la
Chiesa senza macchia e senza ruga». Ma parla della Chiesa divina, della
Sposa di Cristo. La Chiesa degli uomini ha le rughe e le macchie degli uomini,
la Chiesa è la società dei peccatori che cammina per diventare la
società dei santi; se non fosse prima di tutto la società dei
peccatori, non avrebbe neanche bisogno di un Concilio. Il Vangelo non è
solo la misura morale e religiosa per gli uomini ai quali la Chiesa lo annunzia:
è prima di tutto la misura inviolabile per la Chiesa stessa. E la Chiesa
è garante del Vangelo per investitura divina, non per merito personale
dei suoi uomini, che sono chiamati per primi a essere coerenti con la parola di
Cristo.
In ginocchio, umile, Giovanni XXIII attesta di accettare il credo
cattolico nella sua pienezza e nella sua integrità, come l'hanno
tramandato di secolo in secolo i Padri; attesta di accettare, credere tutta la
dottrina che gli Apostoli hanno predicata, attesta e riafferma di rifiutare ogni
forma di errore condannato nei secoli precedenti. La verità basta a se
stessa, e la Chiesa la possiede per servirla.
Nessuno, di tutti quelli che
sono presenti in basilica, e nessuno, nel mondo, ha visto da vicino un Concilio.
Ne ricorda qualcosa soltanto un vecchio arcivescovo centenario, mons. Carinci,
ma il ricordo è molto vago, perché quando il Vaticano fu
violentemente interrotto dalla «presa di Roma», nel 1870, egli era
soltanto un fanciullo. Che cos'è un Concilio? Se lo stanno probabilmente
domandando tutti, in un momento tanto importante, proprio mentre si accingono ad
esserne attori o spettatori, tutti coloro che sono presenti in san Pietro in
questo momento.
È certo che un Concilio può rappresentare anche una
grande incognita, per la Chiesa. Può ridursi ad un'assemblea d'ordinaria
amministrazione interna, e non avere alcuna incidenza sulla storia e sui
problemi del mondo. Può condurre ad attriti fra Papi e vescovi, come
successe non poche volte in passato. Può essere lecito, valido, ma
infecondo, da molti punti di vista. Che cosa sarà per la società
dei missili e degli astronauti, dell'atomica e della psicanalisi, questo
Concilio voluto da un vecchio Papa di oltre ottant'anni?
Tutti guardano a
lui, al «vegliardo dal cuore fanciullo» che ha osato ciò che da
circa un secolo nessun altro Papa aveva osato; che ha saputo unire, in una
simile decisione, tutta l'umiltà di chi sente di non bastare da solo, e
il coraggio di chi prevede chiaramente che non mancheranno i contrasti violenti,
e le impasses critiche. I rappresentanti dei «fratelli separati» sono
certo i più attenti e curiosi: intuiscono che la Chiesa, proprio per
opera di un Papa, è tornata ad essere, nel senso più positivo del
termine, una Chiesa conciliare, cioè la Chiesa più vicina al loro
sentire ed al loro sperare. Non manca naturalmente chi teme cose incresciose, da
questo atto di coraggio. Tali timori sono, soprattutto in campo cattolico. Gli
amatori della quiete, dello statu quo, non sono mai mancati, all'interno della
Chiesa, e temono, in perfetta buona fede, che tutto l'ordine attuale possa
essere sovvertito di colpo dal dibattito conciliare, che vede di fronte, per la
prima volta, vescovi che rappresentano la tradizione più passiva e
tranquilla del vecchio mondo cattolico e vescovi che rappresentano tutta
l'angosciosa speranza, e la dura esperienza del Terzo Mondo. Molti prevedono
«battaglia» grossa; e la stampa non ha mancato, già da tempo,
di alimentare le previsioni su questi schieramenti ideali, addirittura
ideologici durante la discussione. Da qualche parte si è parlato di
«destra» e di «sinistra», di «moderati»,
«conservatori» e «progressisti», prima ancora che i vescovi
abbiano cominciato a parlarsi.
Tutto sommato è un bene, non un male.
Finalmente la Chiesa torna ad essere al centro dell'interesse degli uomini; e
non per qualcosa di periferico, di generico o addirittura di mondano (come la
riduzione della «coda» dei cardinali, o cose del genere) ma per una
questione vitale che se direttamente riguarda la Chiesa sola, indirettamente
implica tutte le confessioni cristiane, e l'intera società del nostro
tempo.
Papa Giovanni è consapevole dell'attesa che lo circonda. È
come se tutta l'umanità, in questo momento, gli respirasse accanto: il
respiro eccitato forse affannoso, di chi ha ricominciato a sperare quando
sembrava aver già rinnegato ogni genere di speranza. In questi quattro
anni di pontificato, egli ha compreso che tutto il disinteresse di gran parte
degli uomini di fronte alla Chiesa dipendeva dal fatto che essi pensavano i
problemi della Chiesa estranei a loro, e i loro inconciliabili, quasi sempre,
con quelli della Chiesa. In venti concili, durante venti secoli, le questioni
strettamente teologiche - e per il mondo quasi sempre astruse, eccetto che nei
primissimi secoli - hanno avuto il sopravvento inevitabilmente, in ogni
dibattito conciliare. Questo è un Concilio «pastorale» - come
Papa Giovanni ha ripetuto innumerevoli volte - ma non è ancora stata la
dimostrazione concreta del significato di questa parola. Nessuno immagina quali
ampiezze e quali concretezze sta per offrire a tutti gli uomini indistintamente
il discorso che il pontefice pronuncerà fra poco.
È un vero e
proprio «programma» del Concilio, ma tuttavia è chiaro non
intende vincolare in nessun modo il dibattito e le convinzioni delle varie
correnti o dei singoli vescovi.
Appena quel discorso sarà terminato,
le prospettive della Chiesa, all'interno e all'esterno di essa, cambieranno
profondamente, ed imporranno nuovi giudizi e precisi impegni a
tutti.
UN NUOVO ORDINE DI RAPPORTI UMANI
Un latino pulito e squillante, arricchito
d'umanità da una inflessione lombarda nella voce, il
«manifesto» del Vaticano II risuona sotto la cupola di Michelangelo, e
si diffonde, immediatamente e simultaneamente tradotto in quaranta lingue, in
tutto il mondo. I commentatori della radio e della televisione attenuando la
voce del Papa e facendola passare da un primo a un secondo piano fonico,
dànno subito a tutti gli ascoltatori, ripetendo in italiano ciò
che il Papa sta dicendo in latino, la possibilità di rendersi conto di
ciò che significa quel discorso. In sala stampa, accanto a san Pietro, il
brusio dei giornalisti distratti si placa appena hanno in mano il testo del
discorso che viene pronunziato nella basilica. Tutti si rendono conto che la
«novità» tanto sperata del Concilio, è già in
queste parole liberatrici. Le telescriventi, i telefoni, le trasmittenti radio
sono prese d'assalto: occorre dire a tutti che Papa Giovanni ha superato
tranquillamente ogni più ardita aspettativa.
Nasce con quel discorso
il «coraggio» del Concilio, come l'ha definito Raniero La Valle; un
«coraggio» che sarà poi, nel decorso delle sessioni, pari alla
«fedeltà» del Concilio stesso.
In quel discorso viene
restituita fiducia al mondo; vien fatto dovere, ai cristiani, di prendere atto,
positivamente, del progresso e delle conquiste positive della scienza e della
tecnica, di un processo irreversibile di riavvicinamento fra gli uomini che si
chiamerà «disgelo» e «distensione» sul versante
politico, e che può essere chiamato semplicemente «ecumenismo»,
in senso lato, sul versante religioso e cristiano.
Nell'introduzione, il
Papa riassume il senso e la funzione storica dei principali Concili precedenti,
per giungere a poter affermare le novità consolatrici su cui si basa,
più che legittimamente, il «nuovo corso» che il Concilio
stesso, può dare alla Chiesa e alla storia religiosa della nostra
època.
Papa Giovanni ringrazia la «buona Provvidenza» di
aver condotto la Chiesa ad «un nuovo ordine di rapporti umani».
L'«aggiornamento» cattolico, la «riforma», hanno senso, dal
punto di vista della Chiesa, soprattutto nella volontà di rispondere alle
esigenze legittime di questo nuovo ordine di rapporti umani. La religione
dell'Incarnazione non potrà mai prescindere, nel suo compito di salvare
l'uomo, dalle modificazioni che la vita e l'associazione degli uomini e dei
popoli vanno prendendo di secolo in secolo. Affermare in astratto una
verità indiscutibile, ma tenerla fuori contatto dalla realtà in
cui è chiamata ad inserirsi, non significa che renderla antipatica e
praticamente inaccettabile. La Chiesa non è solo la custode, la garante,
la annunziatrice della verità rivelata, del patrimonium fidei dei Padri:
ne è anche la traduttrice più responsabile.
Papa Giovanni
rifiuta il pessimismo di tutti coloro che egli chiama, senza mezzi termini
«profeti di sventura»: «A noi sembra di dover dissentire da
cotesti profeti di sventura che annunziano eventi sempre infausti, quasi
sovrasti la fine del mondo. La buona Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo
ordine di rapporti umani, che per opera degli uomini e per lo più oltre
la loro stessa aspettativa, si svolgono verso il compimento dei suoi disegni
superiori e inattesi».
Se la speranza è coraggio, il Vaticano
II, nel Papa che lo ha voluto e aperto, sarà un continuo atto di
coraggio. Sarà naturalmente anche un atto di fedeltà, come si
è detto: «Il gesto del più recente e umile successore di san
Pietro che vi parla, di indire questa solennissima assise, si è proposto
di affermare, ancora una volta, la continuità del magistero ecclesiastico
per presentarlo, in firma eccezionale, a tutti gli uomini del nostro tempo,
tenendo conto delle deviazioni, delle esigenze e delle opportunità
dell'età moderna».
Il disordine e l'ingiustizia, la
irreligiosità e il materialismo non possono essere misconosciuti, e il
Papa lo dice: «Questo modo di agire non va certamente bene, e giustamente
deve essere disapprovato». Ma con quali metodi, con quali mezzi la Chiesa
risponderà alle sollecitazioni della realtà del mondo? Papa
Giovanni non ha dubbi: «Non si può tuttavia negare che queste nuove
condizioni della vita moderna hanno almeno questo vantaggio, di aver tolto di
mezzo quegli innumerevoli ostacoli con cui un tempo i figli del secolo
impedivano la libera azione della Chiesa. Infatti, basta scorrere anche
fuggevolmente la storia ecclesiastica per rilevarne chiaramente come gli stessi
Concili ecumenici, le cui vicende furono una successione di vere glorie per la
Chiesa cattolica, siano stati sovente celebrati con alternative di gravissime
difficoltà e tristezze, per l'indebita ingerenza delle autorità
civili. I principi di questo mondo si proponevano infatti di proteggere con
tutta sincerità la Chiesa: ma più spesso ciò non avveniva
senza danno e pericolo spirituale, poiché essi se ne occupavano secondo
gli accorgimenti di una politica interessata e pericolosa».
Un
Concilio non è più, nelle intenzioni e nelle sopraffazioni dei
potenti della terra, come un tempo, occasione o addirittura strumento di calcoli
politici, o canale di contrabbando di poteri che con i problemi della salvezza
non hanno nulla a che fare: è soltanto la chiarificazione e
l'approfondimento della dottrina, la ricerca dei metodi più adatti ed
efficaci per renderla persuasiva.
«Ciò che massimamente
riguarda il Concilio ecumenico - dice infatti il Papa - è questo: che il
sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma
più efficace». Non una dottrina statica, ma una dottrina dinamica
come si addice a una parola che è «spirito e vita». Infatti,
secondo Papa Giovanni, «tale dottrina abbraccia l'uomo intero, composto di
anima e di corpo, e poiché egli è pellegrino su questa terra, gli
comanda di tendere al cielo».
Come operare questo contatto?
«Perché questa dottrina raggiunga i molteplici campi
dell'attività umana, che si riferiscono ai singoli, alle famiglie e alla
vita sociale, è necessario anzitutto che la Chiesa non si discosti dal
sacro patrimonio della verità ricevuta dai padri, ma, al tempo stesso,
essa deve anche guardare al presente, alle nuove condizioni e forme di vita
introdotte nel mondo moderno, le quali hanno aperto nuove strade all'apostolato
cattolico».
Verità dinamica, in una Chiesa dinamica: ecco la
speranza e il desiderio del Papa: «Per questa ragione la Chiesa non ha
assistito inerte al mirabile progresso dell'umano ingegno, e non è
rimasta indietro nella loro giusta estimazione; ma pur seguendo questi sviluppi
non tralascia di ammonire gli uomini affinché, pur al di sopra delle cose
sensibili, volgano gli occhi a Dio, fonte di ogni sapienza e di ogni bellezza; e
non dimentichino il gravissimo comando: "Adorerai il Signore Dio tuo, e solo a
Lui servirai", perché non succeda che il fascino delle cose visibili
impedisca il vero progresso».
Uomini spirituali, vólti
all'alto, per poter dare alle realtà terrene tutto il giusto peso
nell'economia della salvezza. Papa Giovanni crede fermamente alla sintesi tra
fedeltà e novità; una sintesi che personalmente è sempre
riuscito a fare senza fatica.
Queste sono le premesse, nel discorso di Papa
Giovanni. Le conclusioni sono conseguenti: «Ciò stabilito, diventa
chiaro quanto si attende dal Concilio riguardo alla dottrina. Cioè il
Concilio Ecumenico XXI vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza
attenuazioni o travisamenti, che lungo venti secoli, nonostante
difficoltà e contrasti, è divenuta patrimonio comune degli uomini.
Patrimonio non da tutti bene accolto, ma pur sempre ricchezza aperta agli uomini
di buona volontà. Il nostro dovere non è soltanto di custodire
questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente
dell'antichità, ma di dedicarci, con alacre volontà e senza
timore, a quell'opera che la nostra età esige, proseguendo così il
cammino che la Chiesa compie da venti secoli. Il punto saliente di questo
Concilio non è dunque una discussione di un articolo o dell'altro della
dottrina fondamentale della Chiesa... Per questo non occorreva un Concilio. Ma
dalla rinnovata, tranquilla e serena adesione a tutto l'insegnamento della
Chiesa nella sua interezza e precisione quale ancora splende negli atti
conciliari da Trento al Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico ed
apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione
dottrinale e una formazione delle coscienze, in corrispondenza più
perfetta alla fedeltà all'autentica dottrina, anche questa però
studiata ed esposta attraverso le forme dell'indagine e della formulazione
letteraria del pensiero moderno. Altra è la sostanza dell'antica dottrina
del depositum fidei, ed altra la formulazione del suo rivestimento: ed è
di questo che si deve - con pazienza se occorre - tener gran conto, tutto
misurando nelle forme e proporzioni di un magistero a carattere prevalentemente
pastorale».
Il Concilio Ecumenico Vaticano II del 1962
FINE DELLE «CROCIATE»
Penetrazione dottrinale e formazione delle
coscienze»: ecco la sintesi attesa e sperata da Papa Giovanni per il
Vaticano II. Un vero Concilio dottrinale non può non essere, più o
meno direttamente anche un Concilio dalle nuove prospettive pastorali adeguate
ai tempi; ed un Concilio pastorale, come tale inteso e impostato, non può
non essere anche un Concilio dottrinale, in quanto nessun metodo può
essere legittimo se non si appoggia e si giustifica in una adeguata consistenza
di garanzie teologiche.
Molti, in partenza, dopo l'annuncio del 25 gennaio
1959, avevano cercato, con esplicita insistenza, di spostare l'accento
programmatico del Concilio dall'aggettivo «ecumenico» all'aggettivo
«pastorale»: come se le due realtà significate non fossero
comunicanti ed interdipendenti. Per iniziare un concreto «dialogo» coi
«fratelli separati» occorreva chiarire molte questioni legate, da
secoli, a punti dottrinali controversi e non risolti; per arricchire la ricerca
della chiarezza necessaria - specialmente sul versante esegetico e biblico,
comunque culturale - non era possibile non cominciare a lavorare in consonanza
con le correnti più avanzate e serie del protestantesimo e
dell'ortodossia.
E gli errori?
Si sarebbe smesso davvero di lanciare
scomuniche e di segnalare al mondo gli errori più perniciosi? Si sarebbe
di fatto sconfessata l'opera degli ultimi cinque Papi - da Pio IX a Pio XII - e
specialmente di Pio IX di Pio X, di Pio XI e di Pio XII - riguardo alla lotta
contro le aberrazioni tipiche dell'epoca moderna? Si sarebbe ignorato il valore,
ad esempio, del Sillabo prima e della lotta contro il modernismo
dopo?
Molti attendono Papa Giovanni al varco proprio su questo punto, anche
tra i cardinali i vescovi, i teologi. Il «nuovo ordine di rapporti
umani» significherà abbandonare la lotta? La risposta di Papa
Giovanni è chiara e coraggiosa: e segna la fine, al vertice della Chiesa,
di ogni «crociata» tradizionale.
«All'iniziarsi del Concilio
Ecumenico Vaticano II - egli dice - è evidente come non mai che la
verità del Signore resta in eterno. Vediamo infatti, nel succedersi d'una
all'altra età, che le opinioni degli uomini si susseguono escludendosi a
vicenda e gli errori appena sorti svaniscono qual nebbia dinanzi al sole. Sempre
la Chiesa si è opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati con
la massima severità. Al giorno d'oggi, tuttavia, la Sposa di Cristo
preferisce far uso della medicina della misericordia piuttosto che della
severità: essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la
validità della sua dottrina piuttosto che con la condanna. Non già
che manchino dottrine fallaci, opinioni concetti pericolosi da cui premunirsi e
da dissipare; ma essi sono così evidentemente in contrasto con la retta
norma dell'onestà, ed hanno dato frutti così esiziali, che ormai
gli uomini da se stessi oggi sembra che siano propensi a condannarli, ed in
specie quei costumi di vita che disprezzano Dio e la sua legge, l'eccessiva
fiducia nei progressi della tecnica, il benessere fondato esclusivamente sui
comodi della vita. Sempre più essi si convincono del massimo valore della
dignità della persona umana e del suo perfezionamento e dell'impiego che
ciò esige. Ciò che più conta, l'esperienza ha loro
insegnato che la violenza inflitta agli altri, la potenza delle armi, il
predominio politico non giovano affatto per una felice soluzione dei gravi
problemi che li travagliano».
Così la Chiesa cerca di essere e
risultare soprattutto madre: «La Chiesa cattolica, innalzando per mezzo di
questo Concilio Ecumenico la fiaccola della verità religiosa, vuol
mostrarsi madre amorosa di tutti, benigna, paziente piena di misericordia e di
bontà verso i figli da lei separati. Al genere umano oppresso da tante
difficoltà essa, come già Pietro al povero che gli chiedeva
l'elemosina, dice: "Non ho né oro né argento: ma ti dò
quello che ho: nel nome di Gesù Cristo Nazareno, alzati e cammina". La
Chiesa, cioè, agli uomini di oggi non offre ricchezze caduche, non
promette una felicità solo terrena, ma partecipa ad essi i beni della
grazia divina, che elevando gli uomini alla dignità di figli di Dio, sono
validissima tutela ed aiuto per una vita più umana».
Fra otto
mesi vedrà la luce la Pacem in terris, e non sarà che una mirabile
amplificazione, ed un geniale approfondimento di queste idee e di queste
parole.
Ormai la grande assemblea, sotto il fulgore delle luci, è
immobile, come sono immobili, in sala stampa, i giornalisti di tutto il mondo;
come sono immobili, e felicemente sorpresi, milioni di uomini in tutti i Paesi,
in ascolto davanti alla televisione e alla radio: la grande novità
è stata annunziata, il coraggio del Concilio sarà legittimo sempre
più, perché è il coraggio stesso del Papa che lo ha
voluto.
Con il coraggio del «balzo innanzi», anche il coraggio di
riprendere il dialogo con i «fratelli separati». Papa Giovanni,
stamattina, è stato lieto e festoso, anche della rigida cornice della
solennità pontificale con quelli che lo hanno accostato. Quando i
cardinali, gli arcivescovi, i vescovi e i superiori degli ordini religiosi gli
si sono prostrati davanti per la rituale «obbedienza», ha trovato il
modo di sorridere, di stringere la mano, di dire una parola estemporanea a
ciascuno. Al card. Rugambwa ha posato affettuosamente la mano sulla
spalla.
Ma quando adesso alza gli occhi, rare volte, è sempre
colpito, daccapo, dal grande quadro che ha davanti; eppure lo sguardo va
ripetutamente, con tenerezza e simpatia, verso la tribuna dove hanno preso posto
di prima mattina gli ospiti e gli «osservatori» delle Chiese separate.
Essi sono il segno della sua grande speranza, la prova che il mondo cristiano ha
risposto all'appello, che la lunga discordia non serve più a nessuno, e
solo sparute minoranze da una parte e dell'altra, la credono ancora
giustificata.
Il Papa guarda i bianchi sài dei monaci di
Taizé, sempre assorti in preghiera, le gorgiere candide del gruppo dei
luterani i mantelletti paonazzi dei pastori anglicani, simili a monsignori
romani in veste da cerimonia, i severi clergymans degli episcopaliani e degli
evangelisti; le barbe corvine o candide degli ortodossi, dei copti, degli armeni
le loro grandi iconi dorate incastonate nelle catene fulve che pendono loro dal
petto. Egli è la loro speranza, come essi sono la sua speranza. Egli ha
voluto che la Chiesa non avesse segreti, per loro, che restano sempre fratelli
nella stessa fede, e che tanto le ombre quanto le luci della famiglia cattolica
non fossero un segreto nella comune casa del Padre. Sono rappresentate
cinquantaquattro Chiese separate da Roma; ma il gruppo ingrosserà
già prima della fine di questa sessione, per diventare sempre più
folto durante le altre tre sessioni. Prima della conclusione di questa
giungeranno anche dal Patriarcato di Mosca due «osservatori»,
smentendo il pessimismo provocatorio di non pochi «profeti di
sventura».
È guardando a quella tribuna che Papa Giovanni, nel suo
discorso, si sofferma sull'invito alla ricerca dell'unità fra tutti i
cristiani: «Purtroppo l'intera famiglia cristiana non ha ancora raggiunto
appieno questa visibile unità nella verità. La Chiesa cattolica
stima pertanto suo dovere adoperarsi attivamente perché si compia il gran
mistero di quell'unità che Gesù Cristo ha invocato con ardente
preghiera dal Padre celeste nell'imminenza del suo sacrificio. Essa gode di pace
soave, ben sapendo di essere intimamente congiunta con quella preghiera; e
grandemente poi si rallegra, quando vede che tale invocazione estende la sua
efficacia con frutti salutari anche fra coloro che son fuori del suo grembo.
Anzi, a ben considerare questa stessa unità, impetrata da Cristo per la
sua Chiesa, sembra quasi rifulgere di un triplice raggio di superna luce
benefica: l'unità dei cattolici tra di loro, che deve conservarsi
esemplarmente saldissima; l'unità di preghiere e di ardenti desideri, con
cui i cristiani separati da questa Sede Apostolica aspirano ad essere unita con
noi; infine l'unità nella stima e nel rispetto verso la Chiesa cattolica
da parte di coloro che seguono religioni ancora non cristiane».
Il
Papa conclude: «Si può ben dire che il cielo e la terra si uniscono
nella celebrazione del Concilio: i santi del cielo, per proteggere il nostro
lavoro; i fedeli della terra, continuando a pregare il Signore, e voi
assecondando le ispirazioni dello Spirito Santo, per far sì che il comune
lavoro corrisponda alle odierne attese e necessità dei diversi popoli.
Questo richiede da voi - dice rivolto ai "padri conciliari" - concordia
fraterna, moderazione di progetti, dignità di discussioni e saggezza di
deliberazioni. Voglia il cielo che le vostre fatiche e il vostro lavoro, a cui
si volgono non solo gli occhi di tutti i popoli, ma anche le speranze del mondo
intero, compiano abbondantemente le comuni aspirazioni».
La grande
mattinata sta per finire. La cerimonia è durata tre ore e mezzo. Papa
Giovanni è affaticato, ma mai come oggi è stato sereno. Ha portato
il peso di questa fatica come il primo degli olocausti che per otto mesi ancora,
col sorriso sul labbro e la morte che già avanza nella sua carne,
continuerà a portare per il buon esito del Concilio.
La sera stessa
confida ad un collaboratore: «Entrando in san Pietro, sono rimasto senza
fiato». Nemmeno lui - abituato a prendere con totale semplicità le
cose più inattese, s'era aspettato uno spettacolo come quello. Il
«viaggiatore di Dio» - come lo aveva chiamato un Papa - aveva
camminato tutta la vita, in obbedienza totale, per giungere a questo giorno, a
questo altare.
«PORTATE UNA CAREZZA AI VOSTRI BAMBINI»
Ormai nemmeno la sua umiltà può
più ignorare l'importanza di ciò che sta accadendo, il peso che
questo Concilio, e il discorso che ne è un po' il programma, avranno
nella storia del nostro tempo. I giornali del pomeriggio gli dicono, per primi,
che il mondo si è svegliato alle sue semplici e coraggiose parole. Quello
che annoterà fra qualche mese davanti all'accoglienza riservata alla
Pacem in terris - «Questa Pacem in terris, che risonanza! Il mondo si
è svegliato» - è certamente la sensazione anche di questa
straordinaria giornata d'entusiasmo e di grazia.
Le sue parole hanno
restituito fiducia, nello stesso tempo, alla Chiesa e al mondo; e la fiducia sta
diventando reciproca; e tuttavia, egli si stupisce, sempre di nuovo, di
ciò che Dio gli concede. Ha scritto del Concilio, già prima di
vederne l'inizio: «Fu un tocco inatteso, uno sprazzo di superba luce; una
grande soavità negli occhi e nel cuore»; eppure, non resiste alla
bellezza di ciò che avrà pure immaginato più d'una volta,
ed ammette di essere rimasto «senza fiato».
La sua grandezza,
anche in questo caso, consiste nel fatto che tutto ciò che avviene, per
sua volontà, non è altro che la conseguenza di aver dato fiducia a
ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze e responsabilità.
Durante la funzione d'apertura, forse non ha visto in prima fila alcuni dei
«protagonisti» più decisivi e meritori del Concilio: i teologi.
Ma egli sa che ci sono, sa che tutto passerà per le loro mani. Non ignora
che sono divisi in correnti contrastanti, che ci saranno indubbiamente attriti e
conflitti. Ma sa che la chiarezza e la profondità vitale della dottrina,
di secolo in secolo, è sempre difesa dalla loro fatica e dalla loro
operosità. La verità non è monopolio di un teologo,
né di una corrente, né di una scuola: un Concilio è
l'arengo più libero e più obbiettivo dove i diversi punti di vista
possono scontrarsi ed opporsi, ma anche contrappuntarsi ed integrarsi. Papa
Giovanni non ha voluto far torto a nessuno. Al Concilio sono stati invitati i
teologi di stretta osservanza e quelli d'avanguardia; quelli delle scuole romane
e quelli dei Paesi più culturalmente e geograficamente lontani da Roma.
Tenuti lontani fino a pochi anni prima, comunque privati delle cattedre
d'insegnamento, egli ha voluto che anche questi fossero tutti presenti a questa
giornata senza precedenti della Chiesa.
I «grandi suggeritori»
sono pronti: sono tutti i teologi degli Atenei romani e delle università
ecclesiastiche di tutto il mondo. Sono anche quelli che sono stati tenuti ai
margini per quindici anni, uomini come padre Congar, padre De Lubac, padre Chenu
e altri. Gli amici dei «preti operai», i pensatori sospettati di
neomodernismo, di relativismo morale, di razionalismo esegetico: sono tutti
sullo stesso piede di uguaglianza. Daranno col Concilio la misura della loro
cultura e della loro fedeltà. Se sono state rinnegate le
«crociate» all'esterno della Chiesa, perché dovrebbero
continuare, in modo più o meno larvato, quelle all'interno, con
esclusioni e intimidazioni degne di rientrare nell'amare previsioni di Cristo
là dove dice: «vi uccideranno credendo di dar gloria a
Dio»?
Oggi è giorno di festa, perché è il primo
giorno di un lungo, faticoso, arduo, amoroso «servizio» per tutti
coloro che amano davvero la Chiesa. Nulla forse è più caro al
cuore di Papa Giovanni dello spettacolo che gli è stato preparato dai
fedeli, la sera di questa giornata indimenticabile, in piazza san Pietro: una
«fiaccolata» immensa, che non finisce mai, che porta nella piazza
quattro fiumi di fiamme vive. Provengono da quattro strade diverse, e riunendosi
formano sotto i suoi occhi una immensa croce luminosa. Come ad Efeso, nel
Concilio che proclamò dogma di fede la Maternità divina di Maria,
così a Roma, dopo diciassette secoli, nello stesso giorno dedicato a
quella Maternità il popolo ha voluto dir grazie al Papa e ai vescovi per
questo dono di verità e di speranza.
Papa Giovanni è stanco,
ma non rinuncia ad affacciarsi alla finestra del suo studio. Scruta nelle
tenebre quel fiume di luce ardente e mobile. Non hanno vòlto, né
nome, tutte quelle migliaia di creature. Che importa? La luce che recano
è il simbolo delle loro anime. Sono anime anime che sperano, che
ringraziano, che s'impegnano, che pregano. Papa Giovanni sa che deve anche a
loro, che non sono né vescovi né teologi, se il Concilio
porterà i frutti attesi. Dipende anche dalla loro solidarietà, se
la grande speranza di tutto il mondo non andrà delusa.
Dall'alto,
allarga le braccia, e parla. La voce è forte, senza nessuna ombra di
stanchezza; virile e sicura adesso che traduce in tenerezza il Vangelo della
semplicità com'era virile e forte stamattina, quando traduceva, per i
pastori e i teologi, in misericordia e speranza, il Vangelo della testimonianza
cristiana.
Alla fine, quelli che gli vengono in mente, con uno struggimento
d'amore, sono i bambini. Come in tutti i momenti decisivi della sua vita, anche
stasera dopo questa indimenticabile giornata, egli sente che vorrebbe essere
soprattutto accanto ai piccoli, agli innocenti, a giustificare e trasfigurare in
loro il più grande impegno della sua vita. Parla brevemente, non ha molto
da dire: stasera può bastare, per tutti, una parola d'amore e
d'innocenza.
«Continuiamo a volerci bene - dice - guardiamoci
così, nell'incontro, per cogliere quello che ci unisce, tralasciando
tutto quello che ci può tenere disuniti. Ritornando a casa, troverete i
vostri bambini. Fate una carezza ai vostri bambini, e dite loro: questa è
la carezza del Papa».
"Portate una carezza ai vostri bambini"